La preparazione del lavoro intellettuale

da A.D. SERTILLANGES, La vita intellettuale, Edizioni Studium, Roma 1998, pp. 142-152


 

Scegliere i libri. Non fidarsi di una propaganda interessata e di un titolo attraente, avere dei consiglieri disinteressati ed esperti. Bere soltanto alle sorgenti. Frequentare soltanto l’aristocrazia del pensiero. Ciò che non è sempre possibile nel campo delle relazioni personali, è facile, e bisogna approfittarne, in fatto di letture. Ammirare con tutto il cuore ciò che lo merita, ma non prodigare l'ammirazione. Sdegnare i libri mal fatti, che sono probabilmente mal pensati.

Ritornare alle fonti, là dove brillano le idee  madri. Queste sono poco numerose. I libri si ripetono, si diluiscono, oppure si contraddicono, ciò che è un altro modo di ripetersi. A guardare da vicino, le scoperte del pensiero sono rare; il fondo antico, o per meglio dire il fondo permanente è il migliore; bisogna appoggiarsi ad esso per comunicare veramente con l'intelligenza dell'uomo, lontano dai piccoli individualismi balbettanti litigiosi. Una modista ha fatto questa scoperta: «È nuovo soltanto ciò che è dimenticato».  La maggior parte degli scrittori non sono che editori; è qualche cosa, ma noi dobbiamo preferire gli autori.

Leggete dunque, senza partito preso, ciò che si scrive di buono: fate la parte dell'attualità; fatela tanto più larga, quando si tratta di informazioni, di cognizioni positive in evoluzione o in crescita; volete essere uomini del vostro tempo, non siate dunque arcaici. Ma non abbiate neppure la superstizione del nuovo; amate i libri eterni, che dicono le verità eterne.

Dovete scegliere poi nei libri, nei quali non tutto ha lo stesso valore. Non per questa dovete prendere un atteggiamento di giudici; siate piuttosto per il vostro autore un fratello nella verità, un amico, e un amico inferiore, poiché, almeno sotto alcuni rapporti, lo prendete per guida. Il libro è qualcuno più anziano di voi; bisogna onorarlo, avvicinarsi a lui senza orgoglio, ascoltarlo senza prevenzione, sopportare i suoi difetti, cercare il grano tra la paglia. Ma siate uomini liberi; rimanete responsabili, riservatevi abbastanza per custodire la vostra anima e, in caso di necessità,  per difenderla.

«I libri sono opera degli uomini», scrive ancora Nicole, «e la corruzione dell'uomo si mescola nella maggior parte delle sue azioni, e poiché essa consiste nell'ignoranza e nella concupiscenza, quasi tutti i libri risentono di questi due difetti» 2. Filtrare, per purificare, è

dunque spesso necessario, nel corso di una lettura. Perciò affidarsi a Dio e alla parte migliore di sé, a quella che è figlia di Dio e in cui l'istinto della verità, l'amore del bene servirà di salvaguardia.

Ricordatevi, d'altra parte, che in un certo senso un libro vale ciò che voi valete e ciò che lo fate valere. Leibniz utilizzava tutto; S. Tommaso ha preso dagli eretici e dai paganeggianti della sua epoca una quantità di pensieri, e non ne ha sofferto. Un uomo intelligente trova dappertutto intelligenza, uno sciocco proietta su tutti i muri l’ombra della sua fronte stretta e inerte. Scegliete il meglio possibile; ma cercate di ottenere che tutto sia buono, largo, aperto al vero, prudente e progressivo, perché lo sarete stati voi stessi.

Quattro specie di lettura

Per precisare un po’ meglio, distinguo quattro specie di letture. Si legge per formarsi e divenire qualcuno; si legge in vista di un compito; si legge per allenarsi al lavoro e al bene; si legge per distrarsi. Ci sono letture  di fondo, letture d'occasione, letture di stimolo o di edificazione, letture di distensione.

Tutti questi generi di lettura devono profittare delle nostre osservazioni; ognuna presenta le sue esigenze particolari. Le letture di fondo vogliono la docilità, le letture d'occasione la padronanza, le letture stimolanti l’ardore, le letture di distensione la libertà.

Quando ci si forma e si deve acquistare quasi tutto, non è il momento delle iniziative. Sia che si tratti di una prima formazione, di una cultura generale, sia che si affronti una nuova disciplina, un problema finora trascurato, gli autori consultati a questo scopo devono essere creduti piuttosto che criticati, e seguiti nel loro cammino piuttosto che utilizzati secondo la mentalità del lettore. Essere troppo presto attivi nuoce all'acquisto; è prudente cominciare col sottomettersi. «Bisogna credere al maestro» dice S. Tommaso, ripetendo Aristotele. Egli stesso ha creduto con profitto.

Non si tratta affatto di abbandonarsi alla cieca; uno spirito nobile non si incatena; ma, come l'arte del comando si impara nell'obbedienza, cosi il dominio del pensiero si ottiene con la disciplina. Un atteggiamento di rispetto, di fiducia, di fede provvisoria, finché non si hanno in mano tutte le norme del giudizio,  e una necessità così evidente, che solo gli stolti e i presuntuosi tentano di sottrarvisi.

Nessuno è infallibile; ma lo scolaro molto meno del maestro, e, se rifiuta di sottomettersi, avrà ragione una volta, ma venti volte si allontanerà dal vero e sarà vittima delle apparenze. Al contrario la fiducia e una relativa passività, accordando al maestro qualche cosa di ciò che è dovuto alla verità, giovano a quest'ultima e permettono alla fine di utilizzare anche le insufficienze e le illusioni del dottore. Si sa ciò che manca a un uomo soltanto quando si analizzano le sue ricchezze.

Prima di tutto sarà il fatto di una prudenza elementare scegliere tra mille le guide cui ci si vuole affidare. La scelta di un padre intellettuale è sempre seria. Abbiamo consigliato S. Tommaso per l'alta dottrina; non ci si può  naturalmente limitare a lui; ma tre o quattro autori da conoscere a fondo per la cultura generale,  tre o quattro per la specializzazione e un numero pressappoco uguale per ogni problema che si pone, formano il necessario. Si ricorrerà ad altre sorgenti per informazioni, non per formarsi, e l'atteggiamento dello spirito non sarà più il medesimo.

Sotto certi aspetti varrà perfino l'inverso, perché colui che si informa, che vuole utilizzare non è più in uno stato di pura recettività, ha la sua idea, il suo piano; l'opera consultata diviene per lui un'ancella. Una dose di sottomissione è sempre richiesta; ma si rivolge allora alla verità, piuttosto che allo scrittore, e, se concerne costui, gli accorda una fede che si riserva forse le sue conclusioni, che non adatta più il passo al suo passo.

Questioni di atteggiamento che hanno malta importanza, perché consultare come si studia vuol dire perdere tempo, e studiare con mentalità di consulto, vuol dire rimanere il solo maestro di se stesso e perdere il beneficio di formazione che offre un iniziatore. Colui che legge in vista di un lavoro, ha lo spirito dominato  da ciò che pretende fare; non s'immerge nell'onda, vi attinge; rimane sulla riva, conserva la libertà di movimento, rinforza ad ogni imprestito l'idea propria, invece di annegarla nell'idea altrui, ed esce dalla lettura arricchito, non espropriato, cosa che potrebbe facilmente avvenire se la suggestione della lettura nuocesse al partito preso di utilizzazione che la giustificava.

Quanto alle letture stimolanti, la scelta, oltre che dalle nostre regole generali, deve lasciarsi guidare dalla esperienza di ciascuno. Un'influenza può logorarsi col tempo, ma comincia col rinforzarsi; l'abitudine la vivifica; una penetrazione più intima l'ambienta in noi; l’associazione delle idee e dei sentimenti lega a una pagina stati d'animo che tornano con lei.

È una risorsa immensa avere così, nei momenti di depressione intellettuale o spirituale, gli autori favoriti, le pagine che esaltano, tenerle sotto mano, sempre pronte a inocularci la loro buona linfa. Conosco persone che la perorazione dell'orazione funebre del gran Condé ha rialzato durante anni, ogni volta che il loro ardore veniva meno. Altri nella vita spirituale non resistono al Mistero di Gesù di Pascal, a una preghiera di S. Tommaso, a questa o a quel capitolo dell'Imitazione, a questa o a quella Parabola. Ognuno deve osservare se stesso, notare ciò che gli riesce, tenere vicino a se i suoi rimedi perle malattie dell'anima, e non temere di ritornare, fino all'esaurimento, allo stesso «cordiale» o allo stesso antidoto.

Quando si tratta di distensione, l'importanza della scelta appare molto minore; lo è infatti relativamente; ma non dovete credere che sia indifferente distrarsi in questo o in quel modo, quando lo scopo e di tornare, in condizioni più sicure, a ciò che è la vostra ragione di essere. Alcune letture non vi distendono abbastanza, altre vi distendono troppo, a spese del raccoglimento che deve seguire; altre possono sviarvi, nel senso etimologico della parola, cioè spingervi fuori della vostra via.

So di una persona che si distraeva da un lavoro faticoso nella Storia della filosofia greca di Zeller: era una distrazione, ma insufficiente. Altri leggono storie piccanti o fantastiche che li disperdono; altri si abbandonano a tentazioni che scoraggiano il loro lavoro e nuocciono alIa loro anima. Tutto ciò è male. Se i libri sono servitori, come gli oggetti necessari alla nostra vita, quelli soprattutto devono subordinarsi poiché hanno una funzione accessoria. Non sacrificatevi alla vetrina.

Molti pensatori hanno trovato sollievo e diletto nei racconti di viaggi e d'esplorazioni, nella poesia, nella critica d'arte, nei drammi letti, nelle memorie. Ognuno ha i suoi gusti e il gusto è, in questo caso, essenziale. Una cosa sola, secondo S. Tommaso, riposa veramente: la gioia. Cercare di distrarsi annoiandosi, è un'illusione.

Leggete ciò che vi piace, ciò che non vi prende troppo, ciò che non vi nuoce in nessun modo e poiché anche quando vi distraete, siete un consacrato, abbiate l’intelligenza di leggere, a parità di utilità riposante, ciò che vi sarà utile in altro modo, aiutandovi a completarvi, a onorarvi lo spirito, a essere uomo.

Il contatto con i geni

Voglio parlare specialmente, attribuendo all’argomento un’importanza estrema per la condotta dello spirito e della vita, dell’utilizzazione dei grandi. Il contatto dei geni è una delle grazie di elezione che Dio accorda ai pensatori modesti; bisognerebbe prepararvisi come, secondo la Scrittura, ci si deve preparare all’orazione, come ci si raccoglie e ci si dispone al rispetto quando ci si presenta un grande personaggio o un santo.

Noi pensiamo troppo poco al privilegio di quella solidarietà che moltiplica la gioia e l'utilità di vivere, che allarga il mondo e ci rende la nostra dimora in esso più nobile e più cara, che rinnova per ognuno la gloria di essere uomo, di avere un'anima aperta agli stessi orizzonti dei grandi, di vivere in alto e di fondare coi propri simili, coi propri ispiratori, una società in Dio. «Dopo i geni, vengono immediatamente coloro che sanno riconoscerne il valore», diceva Teresa Brunswick parlando di Beethoven.

Ripeterci ogni tanto i nomi di coloro che brillano con particolare fulgore nel firmamento dell'intelligenza, significa sfogliare i nostri  titoli di nobiltà, e questo orgoglio ha la bellezza e l'efficacia dell'orgoglio che prova un figlio rispetto a un padre illustre o ad una nobile schiatta. Se siete letterati, non apprezzate il beneficio di avere dietro di voi Omero, Sofocle, Virgilio, Dante, Shakespeare, Corneille, Racine, Fontaine, Pascal? Se siete filosofi, fareste a meno di Socrate, di Platone, di Aristotele, di S. Tommaso d'Aquino, di Cartesio, di Leibniz, di Kant, di Maine de Biran, di Bergson? Scienziati, sapete di quanto siete debitori ad Archimede, a Euclide, ancora ad Aristotele, a Galileo, a Keplero, a Lavoisier, a Darwin, a Claude Bernard, a Pasteur? Religiosi, pensate all'impoverimento di tutte le anime se non avessero, dopo S. Paolo, Sant'Agostino, S. Bernardo, S. Bonaventura, l'autore dell'Imitazione, Santa Caterina da Siena, Santa Teresa, Bossuet, S. Francesco di Sales, Newman.

La comunione dei Santi e il substrato della vita mistica, il Banchetto dei Sapienti eternato dal nostro culto e dalla nostra assiduità, è il conforto della nostra vita intellettuale. Coltivare la facoltà dell'ammirazione, e dedurne la costanza e la frequenza dei rapporti coi pensatori illustri, è il mezzo non di eguagliare ciò che si onora, ma di eguagliare se stessi ed è questo, lo ripeto, il risultato da considerare e da raggiungere.

Il contatto dei geni ci procura come beneficio immediato un'elevazione; con la loro superiorità essi ci gratificano ancora prima ancora di averci insegnato. Ci danno il tono, ci abituano all'aria delle vette.  Eravamo in una regione bassa: ci riconducono d'un tratto nella loro atmosfera. In questo mondo di alto pensiero, il volto della verità sembra svelarsi; la bellezza sfolgora; il fatto che noi seguiamo e comprendiamo questi veggenti, ci fa pensare che siamo dopo tutto della stessa razza, che l'Anima universale è in noi, l'Anima delle anime, lo Spirito al quale  basterebbe adattarsi per prorompere in discorsi divini, poiché alla sorgente di ogni ispirazione,  sempre profetica, c’è Dio, «autore primo di tutto ciò che si scrive» (Victor Hugo).

Quando il genio parla, volentieri lo troviamo semplicissimo; egli esprime l’uomo e suscita un’eco in noi.

Quanto tace, non ci sembra di poter continuare nello stesso modo e completare il periodo troncato? Non è vero purtroppo. Quando ci lascia, siamo restituiti all’impotenza primitiva, balbettiamo; ma sappiamo che la vera parola esiste e il nostro balbettare ha già un accento nuovo.

Ascoltate alcuni preludi di Bach. Dicono poche cose: un corto motivo che si rinnova, variazioni insistenti in un rilievo così poco accentuato come quello di una medaglia di Roty. Ma che livello d’ispirazione! Rimanere in esso e muoversi liberamente, sarebbe l’ideale! Almeno potremmo risalirci nel ricordo, e quale beneficio questa possibilità di ascensione che ci allontana dalle futilità, ci raffina e ci aiuta a giudicare secondo verità i puerili fuochi d’artificio di cui si compongono così spesso le feste dello spirito!

Quando poi il genio ci fornisce temi, ci offre verità, esplora per noi regioni misteriose o talvolta, come un Tommaso d'Aquino o un Goethe, ci rivela concentrati in una sola persona secoli di cultura, grande deve essere la nostra riconoscenza. «Lo spirito dell'uomo può andare molto lontano», ha scritto Rodin, «soltanto a questa condizione: che il pensiero dell’individuo si aggiunga con pazienza e silenzio al pensiero delle generazioni». Il grande pensatore che riassume da solo alcune generazioni ci permette col suo aiuto di andare lontano; egli ci introduce nelle regioni che ha conquistato e bonificato, che ha seminato e coltivato, e all’ora del raccolto, ci chiama.

La società delle intelligenze è sempre stretta: la lettura la allarga; noi volgiamo alla pagina geniale uno sguardo implorante che non rimane deluso; siamo soccorsi, avviati, rassicurati, iniziati. Il lavoro di Dio nei geni risulta al nostro attivo così come al loro; noi diventiamo grandi per mezzo loro; siamo ricchi della loro ricchezza; il gigante porta il nano e l'antenato offre una  eredità. Non profitteremo di questo arricchimento? Possiamo farlo. Sono richieste solo fedeltà e attenzione.

Il genio ci rinnova completamente. Egli presenta al pensiero, sotto una luce sconosciuta, nel cuore di un sistema di relazioni che, per così dire, la ricreano, la realtà che era lì presente, evidente, e che noi non vedevamo; è questo il suo dono essenziale.

Tutto l'infinito del pensiero è dietro ogni fatto; ma noi aspettiamo che la prospettiva si liberi, solo il genio si avanza, rimuove i veli e ci dice: vieni! La scienza consiste nel vedere dentro: il genio vede dentro; frequenta l’intimità degli esseri, e, grazie  a lui, l'essere stesso ci parla, invece dei nostri occhi deboli e illusori.

Il genio semplifica. La maggior parte delle grandi scoperte sono sintesi improvvise e folgoranti. Le grandi massime sono molteplici esperienze condensate. Il tratto sublime, in pittura, in musica, in architettura, in poesia, è uno zampillo che contiene e unifica valori fino a quel momento disseminati e indecisi.

Un grand'uomo, poiché riflette la comune umanità, ne riduce le conquiste all'essenziale, come Leonardo da Vinci sintetizzava in un momento solo le espressioni mutevoli del modello. La linea egiziana applicata a tutto è il genio, e la sua ricca semplicità forma la nostra ricchezza.

Il genio ci stimola e ci dà fiducia. L'emozione che esso provoca è lo sprone delle ardenti iniziative, il rivelatore delle vocazioni e il rimedio delle timidezze inquiete. Un'impressione del sublime e nell'anima nostra come un'alba. La sapienza sperimentata nei suoi eroi, rivolge anche a noi i suoi taciti inviti, e quale felicità poter dire a sé stessi: essa è anche in me!

Non è forse vero che i grandi uomini riflettono soltanto il loro secolo: ma è vero che riflettono l'umanità, e ogni membra di questa umanità riceve la sua parte di gloria. I pensatori maldicenti hanno un  bel dire, l'esistenza dei geni dà loro torto di fronte al genere umano, così come dava torto agli ebrei l'esistenza di Cristo, quando essi dicevano: «Qualche cosa di buono può forse venire da Nazareth?» Sì, qualche cosa di buono può venire da questo povero mondo, poiché ne viene un Platone. Un grand'uomo non sarebbe niente se non fosse, per i suoi talenti e per l'uso che ne fa, un figlio dell'uomo. Ora il ceppo che lo regge non è indebolito; coloro che ricevono la medesima linfa possono sempre sperare di crescere e di portare anch'essi fiori immortali.

Perfino gli errori dei grandi possono contribuire al beneficio che noi attendiamo dai nostri rapporti con loro. Dobbiamo difenderci contro di loro: la loro forza talvolta ci svia: quasi tutti hanno ombre come una maschera dal rilievo fortemente accentuato; sia l'esagerazione di un punto  di vista, sia un altro stimolo li può trascinare lontano dalla rettitudine. Eppure non  c'è genio che, malgrado le sue aberrazioni, non guidi uno spirito attento a toccare i fondamenti eterni della scienza e i segreti della vita.